Dopo lunghi dibattiti sul futuro dei data center della Pubblica Amministrazione, nell’ambito del PNRR è stata annunciato un investimento di circa un miliardo e mezzo di euro tra migrazione al cloud e piattaforma unica dei dati. Come verrà dunque effettuata questa transizione che, nel corso degli anni, ha sempre faticato a partire?
Stando così le cose, si tratterebbe di un cambiamento senza precedenti e quindi diventa fondamentale capire i rischi collegati ad una transizione che richiede, oltre agli investimenti, anche meccanismi capaci di sostenerli e competenze. Bisognerà inoltre far luce su vari aspetti, come quello relativo allo smart-landscape e la sua attuazione nella PA.
1190 datacenter di troppo
Quanto espresso dal PNRR si pone in un’ottica di continuità rispetto piano triennale per l’Informatica nella Pubblica Amministrazione.
L’obiettivo è quello di consolidare e ridurre i data center nazionali, in un’ottica di contenimento dei costi e di ottimizzazione dei servizi. E’ stata introdotta una distinzione tra PA centrale (PAC) e PA locale (PAL), dove verranno usati data center di gruppo A e provider di servizi cloud per eseguire i servizi.
Stando al censimento AgID, attualmente ci sono 1190 datacenter del gruppo B da dismettere, anche se questo numero è sottostimato, considerando che non tutte le PA hanno partecipato al censimento.
Appare dunque chiaro come il grande numero di strutture da smantellare ponga problemi non indifferenti oltre alla necessità di investimenti a supporto. Parliamo infatti di infrastrutture datate (anche più di 20 anni in alcuni casi) ed è difficile parlare di migrazione. La sfida vera ora sarà come realizzare questo piano.
La sfida della scalabilità
Di per sé, già 1190 è già un numero importante, che prospetta decine di migliaia di servizi da migrare ad un approccio cloud first. Ad oggi appare comunque poco chiaro come quest’architettura, lontana dall’essere pienamente specificata, possa estendersi su tutto il territorio nazionale.
Senza ombra di dubbio, l’emergenza sanitaria ha dato un forte impulso alla transizione digitale, effettuando cambiamenti impensabili, tuttavia troppe PAL non sono ancora riuscite a trovare il Responsabile per la Transizione Digitale. La formazione in quest’ultimo ruolo resta ad oggi fondamentale per il sostentamento del cambiamento
Cloud first suona bene, ma quale modello?
La parola d’ordine per il consolidamento dell’infrastruttura digitale nazionale della PA è “cloud first” da tempo. Già nel 2017 infatti si era chiarito che gli approcci Cloud first e SaaS erano di derivazione europea e avevano il compito di snellire e semplificare i servizi.
Da questo punto di vista il governo ora è al lavoro per gestire il capitolato di una gara enorme che avrà il compito di definire i servizi Cloud della PA per un decennio e, visto, quanto successo in passato la cautela è più che mai d’obbligo.
Per comprendere il modello di Cloud per la PA bisogna guardare al modello di abilitazione al cloud del portale dedicato al Cloud per la PA.
Attualmente, sembra sia stia propendendo per la modalità SaaS nel percorso di migrazione del cloud. Ad essa sarà poi associata la modalità IaaS quando si tratterà di migrare in modo che possano eseguire in cloud. Resta l’icognita su come saranno regolati dalla gara gli elementi di un cloud PaaS per la realizzazione dei servizi.
Attenzione agli angoli morti
La strategia nazionale ora ha messo il focus sul colmare il digital gap, ma nei prossimi tempi sarà di fondamentale importanza anche restare al passo con l’evoluzione dei sistemi. Oggi il cambio nella performance dei dischi sta facendo evolvere velocemente la rete come collo di bottiglia dei sistemi futuri, spostando l’informatica sempre più verso i sistemi distribuiti.
Bisogna considerare infatti che il controllo di dispositivi sul territorio necessita la presenza di latenze controllate, dunque riunire tutti i servizi in pochi cloud potrebbe comportare il sabotaggio della strategia che aveva identificato come smart landscape.
Il 5G darà una mano nel mettere in pratica un controllo uniforme dei dispositivi, ma non possiamo di certo pensare che la sola banda che il 5G offrirà basterà per tutte le volte che bisognerà trasportare un’enorme quantità di dati verso il cloud di destinazione.
Non ci sono più alibi
Adesso sarò fondamentale per i processi di gara rispettare l’evoluzione tecnologica, rendendo tutti i processi efficaci ed efficienti e riportando al centro la formazione, in modo che si creino figure preparate per supportare la transizione di oltre 20.000 enti.
La centralizzazione dei servizi concorrerà di sicuro nel controllare il processo evolutivo, ma è necessario che nessuno venga lasciato indietro.
E’ inoltre opportuno che il MEF tenga presente come la transizione digitale non possa essere fatta senza costi e che non basta il budget, e che sia necessario anche un intervento sulle modalità di spesa.
Il cloud nasce infatti come un business model in cui l’investimento (CAPEX) viene trasformato in una spesa corrente (OPEX), e parlare di “cloud first” significa prima di tutto che i servizi ICT debbano avere un budget non comprimibile se non al prezzo di tagliare servizi.