Come ci indicano alcuni studi europei come il DESI (The Digital Economy and Society Index), l’Italia non naviga in buone acque per quanto concerne competenze digitali, digitalizzazione della pubblica amministrazione e adozione delle tecnologie da parte delle imprese. Solo il 42% dei cittadini italiani di età compresa tra i 16 e i 74 anni possiede competenze digitali di base (la media UE è il 58%) e solo il 22% dispone di competenze digitali superiori a quelle di base (in Europa questa percentuale è al 33%).
No competenze no lavoro
Oltre a quanto appena esposto, gli studi del World Economic Forum hanno previsto che entro il 2030 nove lavori su dieci necessiteranno di competenze digitali avanzate e che nella prossima decade molti lavori andranno a sparire, facendo spazio ad altri per i quali serviranno nuove competenze.
Non possedere adeguate competenze digitali significherà non poter più lavorare, non poter più studiare, non poter partecipare alle attività e non poter comunicare. Il rischio è che nasca una nuova categoria di esclusi: gli emarginati digitali, i nuovi poveri.
Tutto questo è stato, ovviamente, aggravato dalla pandemia che stiamo affrontando ed è lecito chiedersi come potremo uscire da questa difficile situazione circa il digitale. Ci possono aiutarci le nuove tecnologie?
Nelle scorse settimane, la Commissione Europea ha discusso il piano “2030 Digital Compass”, delle linee guida sulla trasformazione digitale che i paesi europei dovranno seguire, il cui ambizioso obiettivo è fare in modo che l’80% dei cittadini europei abbia competenze digitali di base entro il 2030.
Upskilling e reskiling dei lavoratori
Una sfida fondamentale in questo senso riguarda l’insegnamento delle competenze digitali ai lavoratori. I nuovi programmi di formazione devono essere in grado di fornire al lavoratore i mezzi per aggiornare le proprie competenze digitali, così da poter migliorare lo svolgimento delle mansioni nello stesso ruolo (up-skilling), per esempio imparando ad interagire con sistemi automatici.
In più, è necessario che diano la possibilità di sviluppare nuove competenze diversificate, in modo da favorire un processo di reskilling, garantendo ai lavoratori di poter svolgere ruoli diversi nel caso in cui quelli vecchi scompaiano o si automatizzino.
In questo scenario, il supporto delle tecnologie di intelligenza artificiale permette di individuare ed analizzare le competenze mancanti, stabilendo i programmi di formazione più adeguati per ogni lavoratore
Inoltre, le suddette tecnologie sono in grado di accumulare e interpretare tutti i dati relativi alle competenze del futuro, analizzando il livello di competenze possedute oggi dai lavoratori e definendo in modo predittivo le competenze che dovranno essere insegnate per poter svolgere i lavori del futuro.
Gli emarginati digitali saranno i nuovi poveri
Considerando i gravi numeri sulla disoccupazione in Italia, è evidenta le necessità di un progetto che raggiunga e formi in ambito digitale i disoccupati. Un esempio di formazione digitale dei cittadini in difficoltà è il progetto francese GEN, Grande École du Numérique, una rete che forma attraverso l’insegnamento di competenze digitali anche i residenti in quartieri disagiati, persone poco qualificate, giovani e donne.
Imparare a imparare
Imparare nuove competenze digitali è quindi condizione necessaria ma non sufficiente: infatti alcuni di quei lavori che oggi svolgiamo verranno automatizzati.
Si badi bene che non stiamo parlando solo di lavori a basso contenuto cognitivo, ma anche molti dei lavori “intellettuali” stanno già subendo la “robotizzazione”.
Un esempio di questo è il grande passo in avanti che c’è stato nel campo delle attività di RPA, automazione robotica dei processi, dove robot software sono stati impiegati in amministrazione o finanza per eseguire attività ripetitive prima eseguite dagli esseri umani.
Il tempo libero che guadagniamo con l’automatizzazione di alcune mansioni deve essere investito in formazione, questo significa ridistribuire il vantaggio che otteniamo con l’impiego delle machine e della tecnologia su tutti gli stakeholders di un’azienda.
Visione, strategia e coordinamento per il futuro digitale dell’Italia
Per garantire a tutti l’accesso alle competenze digitali e ai programmi di formazione, è necessaria una visione strategica di lungo periodo per le tecnologie di intelligenza artificiale e la capacità di realizzare quella che in inglese chiamano execution.
La nuova edizione dell’AI INDEX, pubblicata dallo Stanford Institute for Human-Centered Artificial Intelligence, sottolinea come tutte le principali economie mondiali abbiano già delle strategie per l’intelligenza artificiale.
L’Italia è tra gli ultimi paesi in Europa a presentare una strategia di intelligenza artificiale, nonostante siano già state sviluppate diverse strategie nazionali per l’AI e quella elaborata dal gruppo di esperti del MiSE sia stata definita da Brookings come una delle migliori al mondo.
Dopo questi mesi è però necessario che le tecnologie digitali e l’intelligenza artificiale diventino una priorità.
Occorre un piano coordinato e, soprattutto, grande determinazione nel realizzarlo, per fare in modo che le competenze digitali e le tecnologie di AI siano disponibili a tutta la società e ai suoi cittadini, per poter affrontare e gestire le nuove sfide economiche, ambientali e sociali che ci aspettano.